Aviaria e alimentazione
Un’ alimentazione corretta può coadiuvare la cura delle infezioni, ma si esprime prudenza relativamente alle affermazioni diffuse dai mass media sull’ influenza aviaria. L’ influenza aviaria è una malattia nella quale è coinvolto il virus influenzale orthomyxovirus, che colpisce diverse specie di uccelli, ma che può in determinate particolari condizioni trasmettersi anche all’uomo. I sintomi che possono essere quelli dell’ influenza oppure diventare impegnativi per interessamento degli apparati respiratorio, digerente e nervoso.
Il virus dell’aviaria esprime diversi sottotipi classificati per la sindrome più o meno gravi che esprimono: virus HPAI (influenza aviaria a alta patogenicità) e virus LPAI (influenza aviaria a bassa patogenicità). L’accumulo di mutazioni determina periodicamente la comparsa di nuovi ceppi. Questi possono essere anche la risultante di ibridi virali e sono classificati con le lettere H ed N. La proprietà di impegnare l’uomo nella malattia potrebbe essere acquisita da un ibrido con il virus influenzale umano.
Sinora solo i sottotipi H5, H7 e H9 sono stati capaci di compiere il “salto di specie”. In realtà il virus dell’ aviaria può passare agli umani per cause principalmente professionali. L’infezione ha interessato soggetti a stretto rapporto con il pollame vivo e in scarsissime condizioni igieniche. In qualche caso c’è stato contagio interumano che però non si è esteso oltre una prima generazione di contatti. L’ aviaria è stata segnalata in tutto il mondo, ma i focolai da virus ad alto rischio erano considerati rari. Negli ultimi venti anni si è purtroppo osservato una serie di epidemie di aviaria che hanno impegnato tutto il pianeta. Verosimilmente tutte le specie di volatili sono suscettibili di infezione e tutti gli studiosi sono concordi nel ritenere gli uccelli la forma di vita predisposta ad aviaria. Il virus è presente nel loro intestino dove normalmente persiste in modo asintomatico. Molti di questi uccelli sono migratori e trasportano il virus in tutte le parti del mondo. Gli uccelli domestici sono l’anello intermedio tra gli uccelli selvatici e gli altri animali domestici come per esempio i maiali. Materiali infettanti sono le feci e le secrezioni oro-nasali. Si distinguono due forme cliniche principali della malattia: influenza aviaria a bassa patogenicità (LPAI) influenza aviaria ad alta patogenicità (HPAI) Le due forme, che possono coesistere, dipendono, oltre che dal ceppo virale, soprautto dal sistema immunitario dell’ospite per cui lo stesso virus può dare forme diverse in specie diverse. Negli uccelli selvatici è prevalente influenza aviaria a bassa patogenicità (LPAI) ed i sintomi sono in genere nulli o molto lievi. Nelle specie allevate dall’uomo è più probabile osservare l’ influenza aviaria ad alta patogenicità (HPAI), il che evidenzia le vere problematiche da affrontare. Le misure sanitarie programmate prevedono in caso di focolai di ceppi virali altamente patogeni, l’abbattimento e distruzione di tutti i volatili del focolaio, distruzione o trattamento di tutti i materiali contaminati e istituzione di un zona di restrizione. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) avverte che c’è un rischio sostanziale di influenza pandemica, entro i prossimi anni. Uno dei più probabili virus responsabili di tale pandemia potrebbe essere il virus H5N1, che provoca l’influenza aviaria.
L’influenza aviaria secondo i massa media e le istituzione sanitarie coinvolte nei notevoli interessi economici connessi con la malattia, appare un problema da gestire attraverso farmaci antivirali, vaccini e rapido intervento in tutti i focali epidemici. Questa modalità di lavoro lascia sospettare disease mongering ovvero un approccio teso a gestire vantaggiosamente un problema sanitario piuttosto che risolverlo. L’obiettivo di istituzioni sanitarie non dovrebbe essere solo la gestione della malattia, ma sopratutto le malsane condizione di allevamento e lavorazione delle carni, che determinano tragedie sanitarie ben più gravi oltre l’aviaria.
I vantaggi economici che derivano dalla gestione di una malattia e quelli che derivano da nefande tecniche di allevamento, macellazione e preparazione delle carni sono un problema immenso. La promozione attraverso argomentazioni scientifiche di costose terapie antivirali o vaccinali e l’ allarme indotto dai massa media, appaiono più un ostacolo che la risoluzione dei veri problemi. Senza nulla obiettare al prezioso lavoro dei ricercatori, le istituzioni sanitarie dovrebbero però rivolgere gli sforzi principalmente al rispetto dell’ambiente e a sane tecniche nella preparazione degli alimenti. L’influenza aviaria come altre malattie ”moderne” sono i segni di come nelle istituzioni sanitarie sia stato disperso il buon senso e la lungimiranza. Un’ alimentazione coerente alla prevenzione delle malattie promuove una maggiore incisività nella garanzie che il cibo deve offrire a colui che lo assume, per prevenire danni e contenere i costi economici nei sistemi sanitari coinvolti.
L’ alimentazione non è la terapia delle infezioni, tanto meno dell’influenza aviaria ma può integrare le terapie previste per limitare il danno prodotto dall’infiammazione con strategie alimentari atte ad abbassarla progressivamente. L’ alimentazione permette al paziente di ottimizzare la risposta immunitaria svolgendo anche una importante azione preventiva. In tale contesto l’ alimentazione contrasta l’acidosi associata all’infiammazione. Inoltre le abitudini alimentari interferiscono in modo significativo con il corretto equilibrio del cortisolo. Stress e nutrizione inadeguata comportano, infatti, una disregolazione anche del ritmo circadiano dei glucocorticoidi. Il cortisolo dovrebbe esprimere la sua acrofase circadiana intorno alle nove del mattino e la sua batifase circadiana a mezzanotte. Secondo l’ alimentazione, alla presenza di stress sia endogeno, sia esogeno e a ritmi alimentari non coerenti, si assiste a un’alterazione dell’asse HPA. Questa è caratterizzata da perdita d’equilibrio tra gli ormoni CRH, ACTH e cortisolo. Gli effetti negativi di una circadianità perduta cortisolo e delle alterate retroazioni ormonali facilitano la risposta infiammatoria. Un’alimentazione corretta in alimentazione secondo le retroazioni ormonali determina anche una migliore risposta immunitaria e un recupero dei corretti feed back regolativi per il malato.
L’ alimentazione integra la terapia convenzionale delle infezioni e può interferire favorevolmente tramite il ripristino dei feedback ormonali, contribuendo in tal modo a migliore gestione della malattia. L’ alimentazione e la cura dipendono da relazioni ormonali, biochimiche e metaboliche. Il trattamento tramite alimentazione è integrativo di altri strumenti di terapia, ai quali si aggiunge. L’ alimentazione richiede, esami strumentali, valutazione dei sintomi e delle cause, diagnosi, conoscenza di tutte le altre forme di terapia per la quali l’ alimentazione possa costituire integrazione. Pertanto somministrare alimentazione è atto medico e deve essere esercitata da un medico competente. Per l’ alimentazione si consiglia di rivolgersi a un medico che operi solo tramite la verifica strumentale per il cibo indicato e proposto al paziente. Sequenze nutrizionali basate solo sull’esperienza del medico, senza verifica strumentale della composizione corporea e degli altri parametri sono caratterizzate da approssimazione. Il trattamento in alimentazione del paziente non sostituisce le linee guida della medicina convenzionale. Al contrario la alimentazione stabilisce una collaborazione con tutti gli altri strumenti di terapia migliorando la vita del paziente anche in prevenzione.
Dott. Fabio Elvio Farello, Alimentazione a Roma